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Perché le donne si immobilizzano o sorridono quando sono bersaglio di molestie o violenza sessuale?

PERCHÉ LE DONNE SI IMMOBILIZZANO O SORRIDONO QUANDO SONO BERSAGLIO DI MOLESTIE O VIOLENZA SESSUALE?

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Perché le donne si immobilizzano o sorridono quando sono bersaglio di molestie o violenza sessuale?

“Ogni volta che un uomo mi ha molestata , non lo fermavo. Non ero in grado di difendermi né di protestare decisamente , ma la mia voce sembrava sempre ridursi e il mio corpo si afflosciava. Peggio ancora, a volte mi ritrovavo a sorridere, sperando che assecondando i suoi comportamenti nell’ immediato, avrei potuto pensare ad una soluzione per uscire dalla situazione. Durante la mia adolescenza e giovinezza ho creduto che la mia incapacità di dire di no fosse una mia mancanza. D’altronde, se avessi davvero voluto che si fermasse, non avrei trovato un modo ?”

Questa è la testimonianza di Rebecca S. Heiss, una psicologa americana che si è occupata di vittime di violenze sessuali è che a sua volta è stata più volte vittima di abusi sessuali.

Tutte le donne  se interrogate in un contesto sicuro, affermano che, trovandosi vittima di un molestatore, la cosa da fare è quella di  affermare in modo deciso il proprio dissenso, protestare decisamente,  difendersi e/o scappare. Ma quello che purtroppo molte donne,   vittime di violenze sessuali constatano,  ricalca in molti aspetti il comportamento descritto da Rebecca Heiss . Le donne vittime di abusi sessuali non si capacitano della discordanza che si viene a creare tra i propri atteggiamenti, le proprie idee, da una parte,  e i comportamenti di fatto tenuti, dall’altra.

Anche l’evidenza scientifica supporta tale dato, in uno studio svedese, che ha esaminato lo stato psicofisico di vittime di violenza sessuale che sono state visitate in pronto soccorso poco tempo dopo aver subito violenza, condotto da Möller e altri autori  nel 2017 (“Tonic immobility during sexual assault – a common reaction predicting posttraumatic stress disorder and severe depression.” Anna Möller, Hans Peter Söndergaard, and Lotti Helström. Acta Obstetricia et Gynecologica Scandinavica; Published Online: June 7, 2017 (DOI: 10.1111/aogs.13174è emerso che il 70% delle vittime di aggressioni sessuali ha riportato un’immobilità tonica significativa ( questo è il termine scientifico, detto anche tanatosi, in seguito ti spiegherò di cosa si tratta)

Non stupisce che molte sopravvissute all’aggressione sessuale possano sentirsi in colpa perché convinte di non aver protetto se stesse dai loro aggressori .

Per capire il perché molte donne vittime di aggressioni si immobilizzano e sorridono ai loro aggressori bisogna fare alcune considerazioni di natura biologica- evoluzionistica.

Devi sapere che il nostro comportamento è regolato da alcune funzioni neurologiche di natura involontaria; in situazioni di estremo pericolo prevalgono degli schemi neurologici comportamentali involontari. Stephen Porges, accademico, psichiatra e neuroscienziato americano, ha formulato un’ innovativa teoria sul funzionamento nervoso autonomo, chiamata “teoria polivagale”. Una teoria che appunto enfatizza l’importanza dei nessi tra stati fisiologici e la regolazione del comportamento. Porges ci informa che esistono dei processi percettivi al di sotto del livello di coscienza e consapevolezza, con cui valutiamo il livello di pericolosità del nostro ambiente.

Da una varietà di indizi i nostri circuiti neurali valutano quanto è sicura la situazione che stiamo vivendo innescando dei cambiamenti del nostro stato autonomico, ovvero l’insieme delle funzioni involontarie che vengono attivate per far fronte alle situazioni e agli stimoli ambientali. All’interno della teoria polivagale sono stati postulati dei meccanismi per  portare il sistema nervoso autonomo in tre   stati sovraordinati, ossia: 1)sicurezza, 2)pericolo e 3)minaccia di vita senza possibilità di difesa o fuga. Quando il sistema si “setta” nello stato di “sicurezza”, riduce l’attività delle difese, ci fa sentire  calmi, interagiamo amichevolmente, amorevolmente con le persone, e ci sentiamo bene. Quando la valutazione del livello di pericolo aumenta, i  sistemi di difesa assumono la priorità. In risposta al pericolo, il ramo del nostro sistema nervoso che presiede l’attività incrementa il reclutamento di risorse metaboliche per supportare le funzioni motorie per i comportamenti di attacco/fuga. Per capirci, tutti quegli stati fisiologici associati alle emozioni di rabbia o paura; il battito cardiaco accelerato, la frequenza respiratoria accelerata, l’afflusso di sangue ai grandi muscoli delle gambe e delle braccia, ecc. Siamo quindi nella condizione migliore per fuggire  o difenderci aggressivamente. Ma se  i nostri circuiti neurali valutano che siamo impossibilitati a fuggire e a difenderci, il nostro sistema nervoso si setta sulla terza possibilità ovvero quella dell’immobilizzazione.

( Ovviamente, questi sistemi di valutazione, come quelli  consci, sono vulnerabili in termini di affidabilità, nel senso che   può essere valutata sicurezza dove vi è rischio e può essere rilevato un rischio dove non c’è pericolo)

Quindi, nel mondo animale in generale, per situazioni in cui il nostro sistema nervoso valuta un  pericolo estremo per la sopravvivenza, e la concomitante impossibilità di uscirne fuori tramite la fuga o il comportamento difensivo, viene elicitata una particolarissima risposta caratterizzata dall’immobilizzazione, dallo spegnimento, dallo svenimento e, qualora l’animale in questione sia un essere umano, dalla dissociazione psicologica; spesso nei racconti di persone vittime di violenza ma anche di sopravvissuti a  incidenti automobilistici o catastrofi naturali, viene descritto uno stato di dissociazione, come se si stesse assistendo al dramma da una posizione esterna, come se e si fosse degli spettatori, come se stesse accadendo ad un’altra persona. E’ facilmente intuibile la funzione protettiva della dissociazione; è la mente che difende se stessa da qualcosa di difficilmente sostenibile.

Nell’ambito del comportamento animale, fingersi morti è una tattica di sopravvivenza quando gli animali vengono gravemente stressati. Con tale strategia la preda dissuade il predatore: molti animali infatti non mangiano cadaveri la cui carne potrebbe essere  putrefatta, risultando velenosa.  Conoscerai sicuramente l’esempio più noto di tanatosi tra i mammiferi; l’opossum.

Questa risposta fa parte anche del repertorio umano, è una risposta fisiologica involontaria, riflessiva, suscitata in situazioni di grande paura. In altre parole, indipendentemente da ciò che pensiamo sia giusto fare, a livello teorico,  in una data situazione, questa particolarissima risposta prende il sopravvento; non ci possiamo fare niente. Sarebbe come cercare di non battere ciglio se qualcuno ci lanciasse della sabbia in faccia. I nostri corpi hanno sviluppato un meccanismo di difesa che ha alle spalle centinaia di migliaia  di anni di successi in termini di sopravvivenza. Tale meccanismo è quello di “congelarsi”.

Ai dati neurologici si affiancano delle considerazioni di tipo evoluzionistico. Le donne sono ancestralmente il genere fisicamente più debole e più lento. All’interno di gruppi umani primitivi, qualora una donna fosse stata  vittima della violenza di un maschio avrebbe avuto poche possibilità di fuggire o difendersi. Qualora l’avesse fatto le probabilità di riportare gravi ferite o di morire sarebbero aumentate. E’ verosimile quindi che si sia sviluppato una sorta di dismorfismo comportamentale legato al genere, di tipo ereditario, che si tramanda lungo le generazioni in prevalenza nelle femmine.

In altre parole, è ipotizzabile quindi che esista uno schema comportamentale, prioritariamente femminile, che renda più probabile i comportamenti di sottomissione qualora si verifichi una condizione di violenza estrema.

Anche se è  evidente che i comportamenti di sottomissione si verificano sia nelle femmine che negli uomini qualora venga valutata una grande disparità di forze.

Anche i dati di etologia comparata  vanno in questa direzione: quando i nostri cugini  primati più vicini, i bonobo e gli scimpanzé, hanno paura o sono nervosi a causa del comportamento aggressivo di un loro simile, scoprono i denti in un modo che assomiglia notevolmente al nostro sorriso. È un gesto di sottomissione usato più spesso dai membri di basso rango per placare gli aggressori e proteggersi dalla  loro violenza.

È importante capire che nelle situazioni di grande pericolo la gamma di comportamenti volontari a nostra disposizione risulta fortemente ridotta. Il corpo è cambiato, è diverso. Il nostro corpo in questo momento supporta comportamenti auto protettivi passivi. Le persone traumatizzate o vittime di violenza, hanno bisogno di comprendere che la cosa importante era la sopravvivenza e, dice Porge;  ora hanno bisogno di trattare se stessi come se fossero eroine ed eroi per aver affrontato ed essere sopravvissuti ad una situazione di così grave pericolo.

Indipendentemente da come tu la voglia interpretare questa  invincibile programmazione biologica auto-difensiva; attribuendole un’utilità in quanto in grado di contenere danni o,  come inappropriata, anacronistica e non funzionale, il fatto certo è che tale modalità lascia un segno profondo nella vita delle persone che, loro malgrado, si sono trovate a vivere tale reazione. Le donne che hanno sperimentato in un’aggressione l’immobilità tonica, hanno mostrato un aumento di 2,75 volte nello sviluppo di PTSD (disturbo post traumatico da stress) e un rischio aumentato di 3,42 volte di grave depressione.

Le donne che hanno sperimentato la risposta involontaria dell’immobilità tonica ritornano in continuazione alla violenza subita, recriminando nei confronti di loro stesse per ogni opportunità che pensano di aver avuto e che non hanno sfruttato, per  fermare l’aggressore. Tutto ciò che vedono è loro stesse paralizzate dalla paura, incapaci di dire di no o di reagire. Potrebbero persino vedersi, con sgomento e senso di colpa, sorridere. Queste reiterazioni possono causare veramente tanti danni emotivi. Sono donne che, nonostante da un punto di vista razionale, siano consapevoli di essersi trovate in uno stato di impotenza e di non aver avuto alternative , al tempo stesso,  trovano ancora il modo di incolpare loro stesse.

Ancora peggio, a causa della nostra ironica biologia , più esposizione abbiamo avuto a questi traumi, gestiti con la risposta di  congelamento, più  probabile sarà l’eventualità di reagire con la stessa risposta  la volta che si verificherà qualcosa di simile. I nostri cervelli registrano la nostra sopravvivenza all’ultimo attacco come un successo e sono ulteriormente incentivati ad utilizzare questa strategia in futuro.

Questa è una lotta da cui le donne vittime di violenza fanno veramente fatica a districarsi. Il problema è complesso e particolare per ogni persona, ma sicuramente il primo passo è smettere di incolparsi per non aver reagito.

 

 

 

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