Warning: "continue" targeting switch is equivalent to "break". Did you mean to use "continue 2"? in /home/web/www.psicologomarra.it/www/wp-content/themes/jupiter/framework/includes/minify/src/Minifier.php on line 227
Gestione del dolore cronico - Psicologo Dottor Marra

Gestione del dolore cronico

Il dolore è un segnale d’allarme che ci avvisa che il nostro corpo ha subito un danno o che tale eventualità è imminente. Si manifesta come un’esperienza sensoriale ed emotiva estremamente sgradevole. È evidente che la sua funzione è oltremodo utile in quanto avvisa della presenza di stimoli dannosi o che lo sono potenzialmente. Qualora il dolore sia associato ad un processo patologico degenerativo questo si protrae lungo tutta l’evoluzione della malattia. In questo caso parliamo di dolore persistente, anch’esso sostenuto da una lesione tissutale (per convenzione con una durata inferiore ai 3 mesi) la cui guarigione, se trattato correttamente, porta alla risoluzione del dolore. In tali circostanze il dolore perde, in parte, la sua funzione di allarme, per acquisire quella di contrasto alla causa della patologia che l’ha determinato.

Sfortunatamente tantissime persone si trovano intrappolate in una situazione in cui il dolore si è trasformato, passando da una forma di utile e temporaneo sistema di allerta, o di agevolatore dei processi di guarigione, ad una condizione cronica in cui l’iniziale utilità delle percezioni dolorose viene meno per lasciare spazio all’instaurarsi di un quadro doloroso cronico i cui circoli viziosi compromettono la vita di chi ne è colpito.

La condizione di dolore cronico è definita come una situazione, della durata superiore ai tre mesi, o che comunque persiste oltre il tempo necessario affinché la degenerazione patologica guarisca. In molti tipi di dolore cronico quello che il paziente percepisce come sensazioni dolorose non è determinato dall’attività di neuroni nocicettivi o da danno tissutale. In altre parole, non c’è una sorta di danno tissutale o processo patologico che contribuisce alle sensazioni di dolore. Piuttosto, la percezione di dolore in questi pazienti può essere spiegata in modo migliore grazie a una varietà di altri fattori intervenienti, come la perdita di una buona condizione fisica, la mancanza di movimento, un’errata interpretazione delle sensazioni , la catastrofizzazione, e, infine all’azione della neuroplasticità: essenzialmente, un ricablaggio del segnale nevropatico in modo che il paziente risponda come se provasse dolore in assenza di danno tissutale, o un danno tissutale minimo che in condizioni ordinarie non raggiungerebbe la soglia della consapevolezza.

È una condizione quasi totalmente refrattaria ad interventi medici (per esempio farmacologici o chirurgici) che è spesso associata a complicazioni psicopatologiche: esiste una correlazione molto forte tra dolore cronico e la presenza di importanti stati depressivi e ansiosi.

Si potrebbe pensare che sia una cosa estremamente semplice individuare il nervo che trasmette il dolore dall’area danneggiata del corpo fino al cervello, e reciderlo, in modo che non si senta più dolore, almeno da quella parte del corpo. Similmente si potrebbe pensare che è facile trovare un farmaco che può fermare o comunque rallentare il messaggio dolorifico, in modo che sia sopportabile.

Questo purtroppo non è una cosa fattibile. Perché, come vedremo in seguito, il corpo e il cervello creano l’esperienza di dolore e si vedrà che il dolore non è una cosa così semplice come possa apparire. Per esempio se si taglia un nervo, il cervello può rispondere alla mancanza di input in modo che risulti come un’indicazione di danno fisico, e quindi creare una sensazione di dolore che può essere anche più grave di quella originaria. Sembra che trattare il dolore esclusivamente con metodiche chirurgiche non sia efficace, e può addirittura rendere il dolore peggiore.

Inoltre, si può affermare che non ci siano cose che “uccidono” il dolore. Anche i più potenti analgesici, come gli oppioidi, diminuiscono l’intensità del dolore soltanto per il 30% in media e non per tutte le persone. In aggiunta a ciò, molte persone possono sviluppare una tolleranza a questa tipologia di farmaci con la conseguenza che per ottenere la stessa intensità di sollievo sono necessarie dosi sempre maggiori di farmaco. Inoltre le persone possono non sviluppare una simile tolleranza per quelli che sono gli effetti secondari di questi farmaci come nausea, costipazione, difficoltà respiratorie insonnia eccetera .

Tutto ciò non significa che bisogna perdere le speranze che in futuro ci siano dei farmaci più efficaci e dei trattamenti privi di effetti collaterali pericolosi. Ma al momento attuale la domanda che bisogna porsi è: cosa posso fare per ridurre il mio dolore? Si potrebbe essere tentati di rispondere che l’unica cosa fattibile è quella di fermarsi, sdraiarsi e fare tutto il possibile per minimizzare qualsiasi attività e prendere dosi sempre maggiori di analgesici per avere un qualche sollievo. Sfortunatamente, questo tipo di risposta ha l’unico effetto di rendere il problema “dolore” sempre peggiore; poiché come il corpo diventa sempre più debole per mancanza di movimento o esercizio e quindi sempre più sensibile al dolore, diventa sempre meno attivo dal punto di vista fisico a causa del riacutizzarsi del dolore, creando così un circolo vizioso.

Innanzitutto bisogna avere la consapevolezza che la creazione della sensazione di dolore non è una cosa semplice. Molti anni fa, i medici pensavano che il cervello fosse semplicemente un recipiente passivo delle informazioni sensoriali che provengono dal corpo; cioè che riceveva informazioni per ciò che riguarda la vista, l’udito e le altre sensazioni come se fosse un televisore che sia stato bloccato su un unico canale ad un volume fisso mentre riceve un dato programma. Continuando a seguire questa metafora, per questo dato televisore, quello che vedi e senti dipende interamente da cosa sta ricevendo. Su questo tipo di tv, non sia nessun controllo, non si può cambiare programma tv non si può cambiare il suo volume.
Ma noi sappiamo, comunque, che il cervello ha molte più possibilità di un televisore. Il cervello può decidere qual è il canale da guardare (il canale del dolore o il canale delle esperienze interessanti?). Ma più importante, forse, per la nostra discussione, il cervello ha il controllo sulla manopola del volume e sulla pulsantiera dei canali da scegliere. Come buona notizia , è stato osservato che le terapie immaginative e il lavoro ipnotico consente di apprendere strategie in modo da avere il controllo sul canale da guardare e l’intensità del suo volume

Nel 1600, il filosofo francese René Descartes argomentò che il dolore era una semplice risposta riflessa ad un danno corporeo. Maggiore è il danno, maggiore è il dolore percepito. Secondo questo modello di dolore, un danno fisico deve necessariamente risultare nella percezione di dolore, e, qualora si senta dolore, deve necessariamente esserci un danno fisico. Questa visione del dolore è stata generalmente accettata dai medici dei pazienti fino al 1960. La ragione di questa grande accettazione e che il modello sembra confermare la nostra esperienza diretta.

Comunque, a ben vedere, i difetti di questo modello troppo semplicistico appaiono evidenti .Per esempio, non spiega, il perché due persone con la stessa tipologia ed estensione di danno fisico possono esperire differenti livelli di dolore. Non spiega alcune condizioni di dolore molto diffuse dove il paziente può sentire dolore in risposta ad un tocco molto leggero.

Inoltre non spiega il dolore da arto fantasma, che si verifica quando una persona sente dolore in un arto amputato, un piede, o una mano non più esistenti. La superata teoria di Cartesio non spiega come alcuni atleti sono in grado di continuare a competere con ossa rotte o distorsioni portando a termine intense prestazioni atletiche senza notare alcun dolore fino al termine della prova stessa.

Questi ed altri esempi ci dicono che la teoria di Cartesio era troppo semplicistica. Nonostante il danno fisico alle strutture corporee sia uno dei fattori che può influenzare quanto dolore venga percepito, risulta essere molto meno importante di ciò che il cervello fa con le informazioni che riceve.
Nel 1960, due scienziati Patrick Wall and Ronald Melzack evidenziarono che la quantità dell’informazione dolorosa in arrivo al cervello dal corpo è modificata quando entra nel midollo spinale ( i nervi che trasmettono le informazioni dal corpo al cervello entrano nel midollo spinale a livello dei cordoni dorsali esemplificato nella figura 1). Un “cancello” a questo livello del midollo spinale può amplificare o “abbassare il “volume” delle formazioni dolorose che ricevono accesso nel midollo spinale. Per questa ragione i ricercatori chiamarono il loro modello del dolore “La teoria del controllo del cancello”. Il cancello lascia entrare più informazioni dolorose nel midollo spinale quando una persona è preoccupata o ansiosa riguardo al dolore, o passa molto tempo pensando al dolore.

Per la prima volta gli scienziati ebbero una spiegazione biologica del perché due persone possono avere la stessa tipologia di danno fisico, ma sentire differenti quantità di dolore. Il modello ha fornito suggerimenti su come le persone, cambiando appropriatamente i loro pensieri e l’attenzione, possano ottenere una diminuzione del dolore. Adesso sappiamo che una persona sentirà più o meno dolore in funzione di cosa il cervello fa con le informazioni che riceve.

Le fibre nervose che inviano informazioni di danno fisico dalla periferia al cervello entrano nel midollo spinale a livello delle corna dorsali. Comunque, la quantità di informazione dolorosa a cui è permesso di raggiungere il cervello dipende, in parte, se il “cancello” nel midollo spinale e più o meno chiuso o aperto. Come abbiamo menzionato in precedenza, essere fisicamente attivi e concentrati su attività estranee al dolore, per esempio come un atleta in gara, tende a chiudere il “cancello” ai messaggi dolorosi. Essere attivamente concentrati o preoccupati per tutto ciò che riguarda il dolore contribuisce ad aprire il “cancello”. A volte, le persone con dolore cronico constatano di essere invischiate in un circolo vizioso, dove diventano preoccupate del dolore e il cervello risponde attraverso l’apertura del “cancello del dolore” consentendo a una maggior quantità di messaggi dolorosi di essere percepiti, i quali incrementano ulteriormente il dolore rendono la persona maggiormente preoccupata, la quale permetterà al “cancello” di aprirsi ulteriormente, e così via (vedi immagine del cervello qui a lato). Come risultato, la persona sente sempre di più il dolore man mano che il tempo procede. Per sentire meno dolore, è necessario che questo ciclo sia interrotto.

Comprendere come il corpo il cervello lavorino insieme per creare le sensazioni di dolore può rendersi utile in diversi modi. Innanzitutto, questa conoscenza può aiutare a comprendere il perché il dolore non sempre sembra essere correlato con l’ammontare di danno fisico che è rilevato dai pazienti e dai medici.

Si possono avere dei “giorni buoni” senza dolore e “giorni cattivi” con più dolore, sebbene non ci siano cambiamenti dello stato fisico di quella parte del corpo che è malata. Il dolore cronico ha molto più a che fare con ciò che il cervello fa con le informazioni che riceve piuttosto che con ciò che sta accadendo alla pelle, ai muscoli e alle ossa. Questo non significa che il tuo dolore non sia “reale” ogni dolore è reale.

Perciò, basandosi su quello che gli scienziati hanno scoperto sulla biologia del dolore, diventa sensato affermare che qualsiasi cosa che determini un cambiamento dell’attività cerebrale (e le terapie immaginative determinano cambiamenti nell’attività cerebrale) può risultare in una diminuzione del dolore.
Questa consapevolezza può fornire speranza di imparare ad usare la propria mente con finalità analgesiche.

Il fatto che al momento attuale si utilizzino tecniche immaginative per far fronte al dolore non significa che si debba perdere la speranza per un futuro eventuale trattamento medico (o persino la cura). Gli scienziati stanno lavorando duramente per trovare i migliori trattamenti del dolore cronico, e nuove scoperte, vengono fate ogni giorno. Ma qual è la cosa migliore da fare nel momento attuale? Un’opzione e quella di imparare qualche abilità proprio adesso, oggi, per iniziare a sentirsi meglio.

Contattami

Non sono in linea al momento ma mandami una mail e ti risponderò subito.

Not readable? Change text. captcha txt

Start typing and press Enter to search