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Ansia e iperventilazione; il circolo vizioso - Psicologo Dottor Marra

Ansia e iperventilazione; il circolo vizioso

 In blog

Il circolo vizioso tra ansia e iperventilazione.
Sai che esiste un legame che unisce le problematiche di ansia e una modalità scorretta di respirare? È una realtà estremamente più diffusa di quello che si possa pensare la cui conoscenza è sicuramente utile per prevenirla. Per comprendere tale fenomeno sono necessarie alcune brevi considerazione di tipo generale sulla respirazione.
Il principale scopo della respirazione è quello di realizzare uno scambio gassoso, ovvero, introdurre ossigeno all’interno del corpo ed espellere anidride carbonica. L’anidride carbonica viene pensata come qualcosa di dannoso di cui dobbiamo sbarazzarci. Certo, c’è del vero in questo modo di pensare; l’ossigeno è assolutamente necessario per la vita, e l’anidride carbonica in eccesso è, in effetti, dannosa. Ma, ed è un “ma” grosso come una casa, è altrettanto vero che appropriati livelli di CO2 sono necessari per la vita. La CO2 è prodotta dal corpo come il risultato del metabolismo, ma è, tuttavia, molto più di un sottoprodotto. La CO2 è responsabile di diverse importanti funzioni, per brevità, in questo articolo ne cito soltanto due: 1) è l’interazione tra anidride carbonica ed emoglobina che consente l’appropriato rilascio e distribuzione dell’ ossigeno, quello necessario ai fabbisogni metabolici di organi e tessuti; 2) mantiene un adeguato livello del pH nel sangue e nei fluidi extracellulari.
Per adesso ti anticipo solo che questi delicati equilibri possono rompersi a causa di particolari situazioni emotive che causano l’iperventilazione, cioè un eccessiva respirazione. In condizioni normali, la richiesta di ossigeno dipende dal livello di attività metabolica di tessuti e organi. Tanto più alta è questa attività maggiore sarà la quantità di ossigeno usata e maggiore sarà la quantità di CO2 prodotta. La CO2 nel plasma sanguigno è disciolta come acido carbonico. All’aumentare dell’anidride carbonica nel sangue questo diventa più acido (il PH si abbassa). Le variazioni del livello di ph influenzano la distribuzione e il rilascio dell’ossigeno da parte dell’emoglobina. L’emoglobina è una proteina che costituisce gran parte dei globuli rossi e trasporta l’ossigeno attraverso il corpo, rilasciandolo per gli usi delle cellule, per poi raccogliere CO2 e trasportarla ai polmoni. La capacità dell’emoglobina di rilasciare ossigeno è in funzione del livello di pH del sangue; un livello di ph più basso (più acido) promuove il rilascio di ossigeno agli organi e tessuti.
In sintesi, quando l’organismo sta compiendo delle attività dispendiose dal punto di vista energetico, sì creeranno le condizioni favorevoli per far passare l’ossigeno dall’emoglobina, a dove serve; ai tessuti e agli organi. Viceversa con livelli più bassi di attività, il metabolismo rallenta, i livelli di anidride carbonica si abbassano e il ph del sangue aumenta (aumento dell’alcalinità). L’aumento dell’alcalinità segnala all’emoglobina di liberare meno ossigeno.
Quindi, prendendo solo in considerazione il punto di vista fisiologico-biochimico, il comando dell’attivazione della respirazione viene mantenuto principalmente dal livello della CO2.
Perciò nella situazione di elevata attività, con elevata produzione di CO2 il ritmo respiratorio deve aumentare. L’aumento della frequenza respiratoria è sostenuto dai muscoli toracici intercostali (ma anche dallo sternocleidomastoideo, il trapezio, e lo scaleno) quindi una respirazione “toracica”. Sono atti respiratori che consentono all’organismo che si trova sotto sforzo, con grandi richieste metaboliche, di incamerare ossigeno e, soprattutto, espellere l’eccesso di anidride carbonica che durante lo sforzo si produce. Finché le cose si muovono in questo modo tutto fila liscio.
Ma, gli animali dotati di una mente, attivano la respirazione anche in funzione di particolari stati emotivi. Antonio Damasio, neuroscienziato e saggista di fama mondiale, ci ha insegnato che l’emozione è una risposta ad un’immagine mentale. L’immagine mentale genera le emozioni con tutti gli annessi fisiologici e comportamentali del caso. L’immagine mentale che suscita l’emozione può essere esterna, cioè percepita con gli organi di senso. Per esempio, potrebbero essere immagini mentali che possono far intuire all’animale che, anche se al momento il suo organismo non sta consumando niente (oltre il metabolismo basale) presto, con una certa probabilità, ci sarà da fuggire o attaccare. Immaginati una gazzella nella savana che in lontananza vede qualcosa di sospetto che si muove dietro un cespuglio. Potrebbe essere un predatore. La gazzella è ferma, immobile; non è il caso di mettersi a correre perché non può permettersi di sprecare energie al primo sospetto. Però, solo l’immagine sospettosa è in grado di innescare delle risposte di attacco-fuga (nel caso della gazzella fuga) risposta che si traduce in un accelerazione della frequenza cardiaca e respiratoria. Se dal cespuglio scatta un ghepardo, la gazzella, con quella sua attivazione fisiologica preventiva, si è preparata alla fuga e ha guadagnato dei secondi preziosi per la lotta alla sopravvivenza. Se dal cespuglio non compare niente di pericoloso ritorna velocemente allo stato normale … da questo semplice esempio si capisce l’importanza evolutiva delle emozioni.
Quindi l’animale evoluto, quello dotato di mente, gioca d’anticipo, guadagna dei preziosi secondi, innescando una respirazione da alta prestazione fisica. Ma se l’animale in questione è ancora più evoluto, come per esempio un essere umano, che ha, come sua peculiarità, rispetto agli altri organismi, una straordinaria capacità di apprendere dal passato e di ipotizzare e pianificare scenari futuri, ecco dicevo, un animale così sviluppato avrà degli stati emotivi innescati da immagini che sono esclusivamente il frutto di un’ elaborazione interna; un ricordo, relativo a situazioni passate, oppure una proiezione nel futuro, in cui vengono creati ipotetici scenari che ancora non si sono verificati. E se a questo si aggiunge che la risposta emotiva può essere determinata non solo da immagini coscienti, consapevoli, ma anche da immagini che si trovano al di sotto del livello di coscienza, voi capite bene, che avere una respirazione che non si incontra con le richieste di attività metaboliche è un’eventualità da prendere in seria considerazione.
Irvin Yalom, uno dei maggiori esponenti della psicoterapia esistenziale riporta nel suo manuale “Existential Psychotherapy” del 1980, (appoggiandosi ad una ricerca sull’iperventilazione di origine psicogena e la paura della morte, in un articolo apparso nella rivista Psychosomatic del 1969 di Lazzarus e Kostant) che, quella che era chiamata sindrome da iperventilazione, è una condizione estremamente comune: tra il 5 e il 10% di tutti i pazienti che consultano i medici (tutti i pazienti quindi, non soltanto i pazienti ansiosi) soffre di questo disturbo.
E sarà altresì molto probabile che questo disallineamento tra modalità respiratoria e richieste metaboliche, non sia evidente ad un’osservazione superficiale esterna. Detto in altre parole, la mancata corrispondenza tra pattern respiratorio e livello di attività può essere subdola, invisibile e prolungata. Questo alla lunga, senza avere gli evidenti segni dell’iperventilazione (cioè una persona che ansima), può portare ad una eccessiva espulsione di CO2 determinando degli importanti squilibri ematici.
L’abbassamento dei livelli ematici di CO2 porta ad una condizione chiamata ipocapnia.
Il nostro corpo interpreta la caduta dei livelli di anidride carbonica nel sangue come una riduzione dell’attività metabolica e relativi bisogni. La conseguenza è che si ha una riduzione dell’ossigeno che raggiunge i tessuti. Questi eventi comportano la privazione dell’ossigeno nel corpo. Detto in termini più psicologici, un paziente ansioso sotto l’influsso delle sue immagini spaventose, anticipando un pericolo, innesca , e mantiene, la risposta emotiva dell‘”attacco – fuga”, quando, in effetti, manca un’azione che richiede l’utilizzo di ossigeno e la produzione di CO2. L’effetto è quello di un’espulsione di CO2 senza che ce ne sia stata un’ eccessiva produzione a livello metabolico.
Con una moderata “iperventilazione” c’è una riduzione del 30 -40% dell’erogazione di ossigeno al cervello e con grave “iperventilazione” la riduzione dell’ossigeno può arrivare al 60%.
Oltre alla diminuzione dell’ossigeno e del glucosio che raggiungono i tessuti i cambiamenti di PH causati dall’ iperventilazione perturbano l’equilibrio elettrolitico.
Nel corpo umano i fluidi sono mantenuti elettricamente neutri. L’ipocapnia, il deficit di CO2, determina l’alcalosi del sangue con conseguente squilibrio elettrolitico dei fluidi extracellulari, i fluidi che circondano le cellule, (fluidi cerebrospinali compresi). Non entro nei dettagli fisiologici di questi squilibri elettrolitici, mi limiterò a dire che interferiscono sul buon funzionamento della muscolatura striata e liscia, e possono determinare neurotossicità. A seconda gli organi colpiti, la sintomatologia che si può verificare è estremamente variegata, e comprende, per citarne solo alcuni sintomi: debolezza, affaticamento e spasmi muscolari, broncocostrizione (con tutti i sintomi asmatici annessi), nausea e motilità anomala dell’intestino, visione offuscata, vertigini, difficoltà di concentrazione, mente annebbiata. Tali disfunzioni innescheranno o, aggraveranno e perpetueranno, tanti disturbi e complicanze mediche tra cui, anche qui, solo per dirne alcuni: disturbo da attacco di panico, ipertensione, aritmie cardiache, emicrania e mal di testa tensivo, apnea notturna, sindrome dell’intestino irritabile (IBS), fatica cronica, dolore cronico, asma, disturbo d’ansia generalizzato.
Un mezzo naturale, senza bisogno di farmaci quindi, per contrastare le complicanze dell’eccessiva respirazione, consiste nell’effettuare quello che si chiama: “training respiratorio”, cioè acquisire consapevolezza e addestrarsi ad una respirazione appropriata alle richieste metaboliche. Un modo molto efficace per portare avanti un training respiratorio è quello di affidarsi a un professionista che pratica Il biofeedback. Cioè grazie a una particolare strumentazione la tua respirazione verrà monitorata, il macchinario rimanderà allo stesso tempo dei feedback, cioè si potrà vedere in tempo reale quali sono gli aspetti della respirazione che necessitano di essere modificati e, grazie a dei particolari esercizi, ti potrai addestrare alla respirazione ottimale. Le indicazioni che mi sento di darti in questa sede sono, per ovvi motivi più semplici, ma potresti lo stesso trarre grande giovamento da quello che sto per dirti. Devi sapere che in condizioni di riposo la maggior parte dell’aria spostata, (almeno il 75% dell’aria spostata) deve essere a carico del diaframma. Il diaframma è una cupola muscolo-tendinea che separa il torace dall’addome. La prima indicazione generica che mi sento di darti è quella di abituarti, quando sei in condizioni di riposo, a fare dei respiri lenti, cioè con la frequenza respiratoria ridotta, e “bassi” cioè localizzati proprio nella zona del diaframma.
La frequenza respiratoria deve essere lenta per evitare di avere delle sensazioni di leggero stordimento causate proprio dall’ iperventilazione ma, non esagerare nell’azione di rallentamento perché se esageri potresti avere come la sensazione di fiato corto, mancanza d’aria. Quindi calibra la frequenza respiratoria facendo in modo di evitare sia l’iperventilazione, sia la “fame d’aria”. Fai in modo che il tempo dell’espirazione sia più lungo di quello dell’inspirazione (orientativamente in un rapporto di 60% per l’espirazione e un 40% per l’inspirazione). Fai in modo di distribuire in modo uniforme, senza accelerazioni, l’aria in entrata, durante l’inspirazione e, in uscita durante l’espirazione. Ad ogni espirazione assicurati di svuotare completamente tutta l’aria dai polmoni. E’ stato visto che è una cosa molto utile anche introdurre delle piccole pause, un secondo circa, sia a fine inspirazione sia a fine di espirazione. Buona pratica.

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